Il filosofo tedesco Johann Georg Hamann è oggi sconosciuto ai più, ma il suo pensiero antilluminista e controcorrente influenzò scrittori e pensatori come Goethe (che lo definì “la mente più lucida del suo tempo”), Hegel e Kierkegaard.
Uomo dalla vita irregolare, fu amico di Kant, ma anche il suo primo avversario intellettuale, avendo elaborato molti degli elementi che dilagheranno nel secolo successivo: dallo spirito romantico alla mistica della natura, dalla sfiducia nella ragione all’importanza dell’esperienza estetica e musicale che, all’interno del suo pensiero teologico e della sua vita (Hamann fu anche liutista), ebbe uno spazio centrale.
16 dicembre 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
La trattatistica specializzata sull’orchestrazione ha una storia relativamente breve. Nati nel tardo XVIII secolo in area francofona, gli scritti dedicati all’orchestrazione sono stati a lungo caratterizzati da un approccio pratico, che sembra quasi escludere ogni aspetto speculativo nella presentazione dei precetti teorico-pratici. L’idea che ‘strumentare’ sia un’abilità eminentemente artigianale e subordinata all’essenza del comporre è fortemente radicata nel sensus communis di pedagoghi, teorici e compositori, almeno sino a metà Ottocento. Il trattato d’orchestrazione sembrerebbe, pertanto, una tipologia testuale secondaria, priva di quello spirito filosofico che da sempre accompagna, nella trattatistica, la trasmissione sistematica dei fondamenti della teoria e della prassi musicale. Un mutamento in tale ordine di cose avviene in coincidenza con la graduale emancipazione del timbro dal suo stato di palese inferiorità: ciò si verifica, com’è noto, grazie al contributo di teorici, didatti e compositori nei primi decenni dell’Ottocento che trasportano il fattore strumentale da un ambito solo ‘sensibile’ su un piano poetico-emotivo. Nonostante tale innovazione, l’impianto teorico del trattato d’orchestrazione si cristallizza in una presentazione sinottica delle famiglie strumentali, da cui a fatica emerge la componente speculativa. Tanto più si distingue, per la novità dell’approccio, il trattato Die neue Instrumentation che Egon Wellesz (1885-1974) pubblicò in due volumi nel 1928/29. Wellesz fu un compositore e musicologo, allievo di Arnold Schönberg e di Guido Adler, emigrato da Vienna in Gran Bretagna a causa delle sue origini ebraiche a seguito dell’Anschluss dell’Austria con il Reich nazionalsocialista tedesco. La sua era una personalità vivace, con interessi diversi in molti campi, compresa la letteratura e le lingue. Noto per i suoi studi sulla musica bizantina, dopo la Seconda guerra mondiale decise di restare all’Università di Oxford, dove svolse un’intensa attività accademica, proseguendo anche quella di compositore, sia pure con i limiti imposti dagli impegni universitari. Il suo trattato sulla “nuova strumentazione”, ingiustamente negletto, rappresenta tuttora un lavoro imprescindibile per chi si occupi della produzione sinfonica ai primordi del XX secolo. L’impostazione teorica del compendio di Wellesz si distingue nettamente da quello di altri lavori di storia della strumentazione, non solo coevi, diffusi soprattutto in Francia e in Germania a partire dal successo del Grand traité d’instrumentation et d’orchestration modernes di Berlioz (1843-44, 1855), tradotto in tedesco e aggiornato da Richard Strauss nel 1905. Wellesz era convinto che fosse necessaria una ricostruzione sistematica delle tendenze in auge all’inizio del Novecento nella scrittura orchestrale dei maggiori compositori sinfonici post-wagneriani. La presentazione della materia non doveva avvenire, secondo Wellesz, soltanto attraverso la tradizionale sinossi sull’impiego di singoli strumenti o famiglie strumentali, bensì mediante un’analisi del trattamento orchestrale inteso come parte sostanziale del costrutto compositivo. Nel caratterizzare il passaggio dall’orchestra abnorme della fin de siècle sino alla Kammerorchester degli anni Venti, Wellesz introduce categorie fondamentali, successivamente recepite dalla storiografia in concetti ben noti quali Verschmelzungsklang/Spaltklang. Particolarmente significative sono le analisi proposte da Wellesz del rapporto tra orchestrazione e condotta polifonica in Mahler e in Richard Strauss, utilizzando concetti di matrice schönberghiana, tra cui quello di Auflockerung (allentamento). L’indagine sull’approccio analitico innovativo ed ‘eccentrico’ del trattato di Wellesz potrebbe pertanto diventare un contributo a una ‘teoria della strumentazione’ che, come direbbe Carl Dahlhaus, è tutta ancora da scrivere.
2 dicembre 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
Anna Ficarella
Le novità del trattato ‘Die neue Instrumentation’di Egon Wellsz
Tema della Conversazione è il fumetto a tema musicale. La discussione sulle problematiche teoriche e possibilità espressive degli adattamenti fumettistici di opere liriche trarrà spunto dall’analisi delle graphic novels di Philip Craig Russell, autore di fumetti “musicali” ispirati a Parsifal, Salome, Il flauto magico, l’Anello del Nibelungo, Cavalleria rusticana, I pagliacci,ecc., nonché di Liederdi Mahler e Wolf.
I fumetti operistici di Craig Russell propongono una “musicalizzazione” della graphic novel in chiave di adattamento drammaturgico-musicale: dal trattamento delle arie alla narrazione delle emozioni, dal ritmo dell’azione al contrappunto, all’uso dei Leitmotive, per non parlare dei momenti puramente musicali come preludi, interludi ed intermezzi.
Fra i pochi compositori italiani dediti al cinema in modo non occasionale, Nino Rota ha legato principalmente il suo nome a due prestigiosi sodalizi: quello con Federico Fellini, iniziato nel 1952 con Lo sceicco bianco, e quello con Luchino Visconti, aperto nel 1957 con Le notti bianche. Nella ricca filmografia rotiana, impreziosita da opere oggi di unanime apprezzamento come 8 1/2, Amarcord, Rocco e i suoi fratelli, La dolce vita ecc., occupa un posto a sé la partitura per il Gattopardo (1963). Basata quasi interamente su una composizione giovanile (la Sinfonia sopra una canzone d’amore, composta fra il ’46 e ’47 e rimasta a lungo ineseguita), la musica per il film non ha conosciuto una fortuna critica paragonabile alla sua popolarità. Se sul film di Visconti ha gravato a lungo, per proprietà transitiva, la pesante censura espressa da certa critica militante verso il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la musica di Rota è stata frettolosamente liquidata come un ibrido mal riuscito fra musica assoluta e musica funzionale.
A un approccio analitico scevro da snobismi e pregiudizi, l’opera di Visconti e Rota si rivela invece densa di valori drammaturgici. La derubricazione della musica rotiana sotto la categoria peggiorativa di compilation soundtrack ha portato a sottovalutare i procedimenti di adattamento e rifunzionalizzazione che sono all’origine di episodi di raffinata costruzione scenica. L’assunzione, di gusto quasi mahleriano, di mondi musicali qualitativamente eterogenei – dai temi lirico-sinfonici alle marcette popolari, dai canti di strada ai ballabili – è stata liquidata snobisticamente come un tradimento dei valori musicali intrinseci, senza che si intuisse, se non in minima parte, il nesso fra le scelte musicali più spiazzanti e l’intenzione interpretativa globale del regista. Soprattutto, è mancata un’analisi dell’opera di Visconti e Rota in chiave di “rimediazione” del capolavoro lampedusiano, vale a dire di adattamento della tecnica narrativa del romanzo psicologico a una drammaturgia inerentemente filmico-musicale.
18 novembre 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
Francesco Finocchiaro
“Noi fummo i Gattopardi”: immagini musicali da Tomasi di Lampedusa a Visconti
Che cosa accade a un musical nel passare dal palcoscenico allo schermo? Da questo interrogativo prende avvio la Conversazione, con l’intenzione di indagare i processi di adattamento e trasformazione dalla forma di spettacolo dal vivo alla pellicola cinematografica.
Ci si servirà del confronto fra le versioni teatrali e cinematografiche dei musical West Side Story (1961, 2021) e In the Heights (2008, 2021).
La Conversazione s’incentrerà in particolare sulla tematica identitaria e di come essa prenda forma dal punto di vista musicale, scenografico e drammaturgico nei musical in oggetto: il tema dell’identità è il grimaldello attraverso il quale condurre una riflessione critica sulle pratiche di adattamento e traduzione intersemiotica nel musical cinematografico.
11 novembre 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
Marida Rizzuti & Erica Marchese
Trasformazioni e mutamenti del musical dal palcoscenico allo schermo
Nel XX e nel XXI secolo la musica ha iniziato – più che in ogni altra epoca – a riflettere su sé stessa e sulla sua storia. La crisi dell’io ha indotto la cultura all’autoriflessività anche nel dominio musicale, convogliando un lavorio di scavo della memoria e delle sue forme. L’astenersi dall’assumere una funzione di mero divertissement e l’acquisizione di una coscienza introspettiva si sono manifestati di pari passo con la profonda rielaborazione della propria memoria. Le modalità secondo cui la musica ha rielaborato la propria storia non sono state però da allora uniformi e omogenee, ma hanno assunto diverse forme a seconda dei tempi e delle geografie.
La Conversazione verterà sulle modalità di rielaborazione della storia e della memoria del cosiddetto “canone classico” nelle arti multimediali recenti, a partire dalla riflessione su due brani del compositore danese Simon Steen-Andersen: TRIO, collage audiovisivo vincitore del SWR Orchestra Prize nei Donaueschinger Musiktage del 2019 e The Loop of the Nibelung, “adattamento” del Ring wagneriano che ha percorso il palcoscenico di Bayreuth in epoca di pandemia. La lettura critica dei due brani sarà condotta alla luce dell’ampio dibattito che si è sviluppato negli anni recenti intorno a due nozioni: l’idea di archivio digitale e quella di archeologia mediale. Proveremo a studiare da una parte come i due brani si collochino – betwixt and between – a cavallo fra le soglie che distinguono i regimi mediali e le epoche storiche, e dall’altra come trattino la storia, quali forme della memoria esse implichino, come si costruisca la relazione tra il passato e il sé. In un secondo momento, confronteremo i risultati della nostra indagine con quanto è avvenuto nelle arti intermediali dagli anni Cinquanta in avanti, nel Ludwig van kageliano e in altri casi, provando a decifrare l’evoluzione nelle forme della rielaborazione della storia e, di conseguenza, a comprendere le specificità della memoria post-digitale attuale.
30 settembre 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
Giacomo Albert
Come leggiamo la nostra storia? Il canone classico nelle arti intermediali, una lettura critica a partire dalle archeologie mediali di Simon Steen-Andersen
Non si prenda questo titolo troppo sul serio. Il contrasto tra la prima parte, che con riguardo ai risultati dell’analisi s’innalza al gergo specialistico della narratologia, e la seconda parte, che con riguardo all’oggetto dell’analisi si abbassa al genere musicale pop, e proprio in ultimo scade al vituperatissimo dei sottogeneri, la trap, questo contrasto vuole riprodurre il programma umoristico che sottende l’operazione artistica analizzata: smascherare la presunta incolmabile distanza tra arte eccelsa e arte infima.
Nella sua prima produzione, The Andre canta testi trap (autentici o parodici) con impostazione vocale pressoché identica a quella di Fabrizio De André. Le sue sono cover, dunque, il cui materiale di partenza non è solo una singola canzone, bensì questa più un secondo ipotesto, o estensivamente ipo-materia, che è una condotta vocale. In termini di teoria dell’adattamento, l’operazione consiste – rimanendo nell’assetto mediale di partenza del genere canzone, senza sconfinamenti transmediali – nell’adattare la trap a De André, o De André alla trap, ma con effetti di trasformazione (e a dire il vero di straniamento) radicali, non meno cospicui di quelli prodotti dai tipi di adattamento che alterano l’assetto mediale di partenza. Anzi, con effetto paradossale, ma in realtà come in tante circostanze percettivo-estetico-culturali, la differenza materialmente più piccola è quella più importante.
27 maggio 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
Stefano Lombardi Vallauri
Transtilizzazione estensiva da ipotesto duplice: le cover di The Andre di canzoni trap
Kant parla brevemente della “fantasia” musicale, intesa essenzialmente come pratica improvvisativa, nell’Antropologia (oltre che nelle lezioni che la precedono) e nella Critica del Giudizio. Nelle due opere si adottano prospettive completamente diverse, ma in entrambe il filosofo propone considerazioni ricche di interesse perché permettono di cogliere alcuni snodi fondamentali del suo pensiero sulla bellezza e sull’arte. Inoltre, a partire da queste riflessioni, è possibile far luce sul rapporto di Kant con la musica (rapporto, com’è noto, tutt’altro che facile) e soprattutto risalire alle situazioni storiche specifiche che possono aver alimentato le idee sulla fantasia musicale. Infine, allargando il discorso alla cultura musicale del tempo, si può constatare come l’estetica kantiana abbia avuto un significato ambivalente, concedendo da un lato scarso valore a un’arte che, nella sua prospettiva, appariva superficiale e povera, ma dall’altro alimentando il culto della “musica pura” e aprendo la strada alle idee romantiche.
8 aprile 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
Nel 2022 ricorre il tricentenario del completamento del manoscritto autografo del Clavicembalo ben temperato, vol. I, di Johann Sebastian Bach. Il capolavoro per strumento a tastiera del compositore tedesco ha una lunga storia della ricezione, della quale l’Italia è parte integrante. Tale ricezione si è articolata in scritti teorici e didattici, edizioni pratiche, interpretazioni eseguite su vari strumenti a tastiera, e adattamenti creativi, come trascrizioni, elaborazioni, arrangiamenti. In particolare, la Conversazione prenderà in esame alcune forme di ricezione creativa che vedono come protagonisti alcuni dei grandi letterati italiani fra Ottocento e Novecento, fra i quali Matilde Serao e Antonio Fogazzaro.
18 marzo 2022, ore 16 – Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna
Chiara Bertoglio
Il Clavicembalo ben temperato in Italia: esempi di adattamento
Il rapporto che stringe Mahler, Nietzsche e Schopenhauer costituisce un nodo complesso, e arduo da sciogliere, per giungere ad una comprensione disambiguata del senso musicale della Terza Sinfonia. Da un lato, infatti, abbiamo un riferimento testuale strettissimo, al tema del risveglio, che caratterizza in modo stretto la scelta dei passi dello Zarathustra, che completano il senso della teoria dell’Eterno Ritorno, dall’altra incappiamo in figure che dialogano con altre tradizioni, e orizzonti diversi, come per le criptocitazioni da Hoelderlin che commentano musicalmente quelle parole.
Il senso di tal sovrapposizioni, non sempre individuato, è stato variamente studiato da McGrath, Morten – Solvich, Peter Franklin, e dalle molte figure di riferimento nella esegesi mahleriana delle cosiddette Sinfonie della Natura. Riprendendo un saggio scritto una quindicina di anni fa, vorrei tentare di elaborare alcuni temi interni alla tradizione del creaturale, che riporterebbero la lettura mahleriana di Nietzsche all’interno dell’alveo della filosofia schopenhaueriana, e goethiana, che Mahler ha spesso rivendicato come nodo ispiratore di quei passi. Nello specifico, vorremmo concentrarci sullla formulazione musicale di alcuni nuclei melodici del I movimento della Terza a poter funzionare come un indice narrativo, che permetta una comprensione più articolata dei ritorni tematici nel IV movimento della Terza.