La musica di Dante (Recensione)

Copertina Musica Dante 1

La musica di Dante, a cura di Davide Fara, Roma, Aracne, 2023.

Contributi di Elena Abramov – Van Rijk, Chiara Bertoglio, Gino Casagrande, Anne-Gaëlle Cuif, Davide Fara, Fabrizio Festa, Nicolò Magnani, Giorgio Monari, Massimo Seriacopi, Carlo Vitali.

«Inestimabili i guasti culturali prodotti nell’ultimo secolo dalle celebrazioni centenarie di Dante». Così Carlo Vitali, indicando chiaramente la via che Davide Fara ha voluto intraprendere nel raccogliere questa silloge. Liberarsi dalla “maledizione dei centenari” (è ancora il corrosivo Vitali) era il primo passo per poter parlare di un tema, quello della musica nell’opera dantesca, certamente molto studiato, ma che ancora merita approfondimenti, riservando sempre nuove scoperte. Che Fara abbia voluto raccogliere intorno a questo tema studiosi di diversa provenienza ed esperienza dice già che l’obiettivo non era quello di fornire un approccio monolitico all’oggetto. Al contrario, questa raccolta di saggi offre al lettore una varietà di punti di vista che non solo dovrebbero incuriosirlo, spingendolo magari a proseguire un suo cammino, ma anche una pluralità di prospettive – sia musicologiche, sia linguistiche, sia estetiche – tale da metter in luce quella che probabilmente è la ragione fondamentale che ci spinge tuttora a studiare l’opera dantesca, inseguendo peraltro l’impossibile obiettivo di ascoltarla nella sua meravigliosa, originale sonorità. Nell’affrontare la relazione tra musica e poesia, Dante trova una sua specifica modalità interpretativa e performativa, nella quale le sonorità della lingua e la composizione del verso sono il frutto di un mirabile bilanciamento fra l’esigenza di colui che ascolta e l’urgenza di colui che scrive (l’autore stesso). È proprio Fara, nel suo saggio significativamente intitolato Per lo sonar de le parole, ad evidenziare la ricchezza “sonora” dei rapporti tra musica e poesia in Dante, ricchezza che non si ferma alla mera elaborazione teorica, ma che viene praticata tanto nel cesello dei singoli versi quanto nella composizione (sostantivo che qui intendiamo in senso principalmente musicale) dell’opera. A ribadire che questa sia una delle possibili chiavi di lettura di questa raccolta ecco prima il contributo di Nicolò Magnani (con una significativa accentuazione sulle questioni dello stile); poi quello di Chiara Bertoglio, censimento utilissimo dei passi sonori e musicali riscontrabili nella Commedia, che parte da una presa d’atto altrettanto importante: il termine musica “è sorprendentemente assente in tutti i cento Canti”. E questo nonostante nella Commedia siano davvero numerosi i passi che fanno esplicito riferimento alla musica e al suono e nonostante le invocazioni ad Apollo e alle Muse, che Dante inserisce programmaticamente nella sua opera maggiore, prima fra tutte quella posta all’inizio del Paradiso, col chiaro richiamo alla vicenda di Marsia. Da una medesima istanza lessicale prendono avvio anche i saggi di Gino Casagrande (lo spunto è il termine organo) e di Giorgio Monari (qui è la parola sinfonia a segnare il punto di partenza), estendendosi poi, però, in territori differenti, massimamente storico-musicologici (direzione nella quale si muove anche il saggio di Elena Abramov-van Rijk), e quindi approdando in rive diverse rispetto all’analisi offerta dalla Bertoglio. Ancora una volta, comunque, emerge la consapevolezza che la musica non sia vista come un supporto alla poesia, ma faccia parte integrante della necessità del versificare, consapevolezza che più volte viene riscontrata anche negli altri saggi di questa silloge e che significativamente i diversi autori individuano non solo nel Dante della sua opera maggiore, ma anche nella comparazione con le altre opere dantesche, poetiche e no. Una comparazione che procede intrecciandosi con la ricostruzione dei riferimenti teorico-musicali e filosofici, quelli che Dante elabora e rielabora strutturando così una sua summa, nella quale unisce le arti del Trivio e del Quadrivio in una potente e tutt’oggi affascinante cosmologia. La complessa metabolizzazione del concetto di armonia, quella che osserviamo nei secoli che precedono la maturazione della filosofia dantesca, quell’intenso e luminoso medioevo che segue alla dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente, traspare nell’intrecciarsi tra suono e parola, così come Dante lo realizza. Tema ricorrente in quella teoria musicale era il rapporto tra musica e matematica. Matematica, ovvero, per esser chiari: geometria, non aritmetica. Geometria intesa come studio dei rapporti tra grandezze e tra le parti e il tutto. Di conseguenza, ecco che la geometria della composizione e la dimensione sonora della parola pesano quanto gli strumenti della retorica, della metrica e quanto la necessità di dar voce, per l’appunto, ad una visione del mondo. Che la musica sia intesa in questa raccolta di saggi non solo dal punto di vista della sua vocazione strumentale e della sua attuazione sonora, ma anche in quanto scienza (una scienza nel passato organica ad una filosofia della natura ideologicamente olistica) lo dimostra anche il contributo di Anne-Gaëlle Cuif, che ne esplora la dimensione terapeutica. Una dimensione che in quella concezione olistica del mondo e della vita era inseparabile dalle altre. Dante «iscrive [la musica] in una pratica retorico-poetica, liturgica e trascendentale, che interviene come una medicina non solo per l’intelletto “infermo” o per la “malizia d’animo” …, ma anche come un rimedio per l’espressione dell’ineffabilità estatica». In estrema sintesi, la silloge curata da Fara, grazie proprio alla pluralità delle voci e degli itinerari, approda ad una solida coerenza di risultati, che a loro volta dischiudono al lettore orizzonti tutti da esplorare.

Fabrizio Festa