Rappresentazioni della musica nella storia

Presenze dell’antico nell’immaginario musicale del Rinascimento, numero monografico di «Musica & Storia», a cura di Nicoletta Guidobaldi, Bologna, il Mulino, 2007/1.

Le fonti dell’estetica musicale. Nuove prospettive storiche, numero monografico di «Musica & Storia», a cura di Maria Semi, Bologna, il Mulino, 2007/2.

 

I.

Parlando come storico delle idee musicali, a me pare che nell’universo delle rappresentazioni della musica l’iconografia musicale occupi una posizione emblematica. Se, come raccomanda nell’Introduzione la curatrice del libro La presenza dell’antico nell’immaginario musicale del Rinascimento, la collega Nicoletta Guidobaldi, l’aspirazione dell’iconografia musicale non è di illustrare una storia già scritta, allora, proprio in quanto le immagini della musica rappresentano l’evento sonoro attraverso le componenti che lo per lo più lo rendono possibile – ambienti e contesti, varietà d’esecuzioni, voci maschili o femminili, tipologie di strumenti musicali, reali o immaginari, pubblico, modalità d’ascolto, committenza, funzioni e livelli simbolici della musica – allora, dicevo, le immagini della musica sono testimonianze preziosissime, talora uniche, delle esperienze e delle sensibilità estetiche degli uomini in precisi contesti storici e sociali. Mostrandoci dove, come e quando l’uomo ha eseguito, ascoltato, goduto e condiviso i suoni del suo mondo, le immagini musicali mettono l’orecchio nell’occhio, come ha detto una volta Rousseau, l’immagine sonora nell’immagine visiva, concertando le due modalità fondamentali su cui si struttura l’esperienza estetica del mondo; qui l’evento sonoro sembra appagare finalmente la propria aspirazione di veder rappresentata in forme emancipate dal fluire coatto del tempo l’incredibile ricchezza delle istanze antropologiche di cui i suoni e le musiche sono testimoni nelle diverse epoche della storia. L’ufficio dello storico dell’iconografia potrà allora essere quello di aggiungere alle silenziose icone della musica quanto vi rimane implicito e latente, e, gareggiando virtuosamente con le immagini per mezzo delle parole e del racconto storico, restituire alla memoria della disciplina le antiche musiche dipinte, rianimate nello spazio simbolico dell’immaginario musicale.

Sto semplicemente ripetendo e riassumendo quanto il Lettore troverà argomentato nell’Introduzione di NG, che più d’ogni altro ha saputo radicare le ricerche d’iconografia musicale nella musicologia italiana. È altrettanto ovvio che uno dei laboratori artistici più fertili per mettere alla prova i metodi e le finalità dell’iconografia musicale sia l’età rinascimentale, a cui per lo più si riferiscono i saggi raccolti in La presenza dell’antico nell’immaginario musicale del Rinascimento, che fa quasi da pendant all’altro recente volume da lei curato per Mimesis, Prospettive di iconografia musicale, che inaugura la collana di studi Le immagini della musica.

La presenza dell’antico nell’immaginario musicale del Rinascimento a mio parere dice bene il cimento di un’età che vuole ridurre l’antica musica alla moderna prattica (come recita il titolo-manifesto del trattato di Nicola Vicentino a metà Cinquecento), e attua questo transito dell’Antico attraverso un complesso sistema di rappresentazioni, in primis figurative, ma anche spettacolari, verbali e, naturalmente, musicali. L’immaginario è in effetti uno spazio simbolico, il luogo delle forme, un medio-mondo nutrito dai valori estetici di due civiltà che la nostra ospite, storica dell’iconografia, raccoglie pazientemente nell’Archivio dell’immaginario musicale allestito in questo Dipartimento nella cornice istituzionale del Progetto di Ricerca di Rilevanza Nazionale Nuove prospettive storiche dell’Estetica musicale, di cui oggi discutiamo alcuni prodotti. L’Archiviodell’immaginario musicale promette forse una peregrinatio animae simile a quella sinestetica dell’Hypnerotomachia Poliphili, narrata da Francesco Colonna e discussa in chiave musicale in uno degli articoli del volume. Parafrasando Baldassarre Castiglione, che desiderava che si intendesse il Libro del Cortegiano (1528) come «un ritratto di pittura della corte d’Urbino», potremmo quasi suggerire che l’immaginario musicale rinascimentale è «il ritratto di pittura» delle corti del Rinascimento, ma non solo, riconfigurate dall’aisthesis sonora dell’Antico. E come il Castiglione realizza il proprio «ritratto di pittura» facendo rivivere nel ricordo i discorsi di coloro che, un tempo attori del dialogo, ora non sono più, voci e memorie dell’oltretomba, così l’immaginario musicale restituisce alla vita l’Antico transitandolo in immagini che sono condensazioni memoriali nelle quali si rigenera e rinnova l’esperienza sonora del mondo.

In effetti, la formula che attraversa da un capo all’altro i generi della cultura rinascimentale è il ritorno delle immagini de i dei degli Antichi, e le immagini che dipingono o scolpiscono le figure degli dèi promuovono e affiancano un’altra significativa presenza tra i Moderni, la presenza della letteratura artistica degli Antichi. Un’opera come le Icone Immagini di Filostrato Maggiore (II-III secolo d.C.) diventa un testo di riferimento della cultura rinascimentale per il potere e l’autorità conferite dal retore greco alle immagini della pittura, un’arte divina, e al canone dell’imitazione, che ovunque accompagna nell’età moderna la creazione artistica fino alle soglie del Romanticismo. Nelle Immagini di Filostrato i dipinti, veri o immaginati, sono ricreati dalla parola del sofista che riproduce l’immaginaria galleria napoletana, anticipazione delle gallerie moderne, come la Galeria del Marino, nelle quali il discorso o la pittura poetica (l’ut pictura poesis di Orazio) gareggia virtuosamente col dipinto per imprimere nell’occhio mentale del lettore un’immagine addirittura più vivida di quella ideata dal pittore per l’occhio fisico: l’estetica dell’ecfrasis diventa così la premessa teorica dell’immaginario rinascimentale, e alimenta un fenomeno di amplificazione non solo per la produzione di immagini che variano continuamente i loro modelli antichi (per cui sarà lecito parlare di stratificazioni successive e di geologia delle immagini), ma di altri generi artistici e letterari concorrenti, da quello poetico al genere emblematico, all’arte plastica della statuaria o del bassorilievo, ai manufatti domestici, agli strumenti musicali, alle carte, agli spettacoli favolosi, ai ludi delle ritmomachie. Nel registro visivo dell’immaginario musicale la musica detta addirittura le regole della costruzione simbolica dello spazio in cui l’immagine campeggia: dalla posizione che occupa in questo luogo di forme, lo strumento musicale concerta i diversi testimoni dell’evento sonoro, e accorda attori e pubblico all’esecuzione dell’evento. Proiettato nel mediomondo dell’immaginario musicale, sottratto al destino dell’irripetizione, l’evento sonoro è nobilitato e idealizzato dal decoro e delle immagini perché attraverso la bellezza sia celebrato in forme imperiture il potere di rappresentare l’uomo che gli Antichi hanno assegnato alla musica. Nell’immaginario musicale del Rinascimento le Grazie compagne di Apollo Musagete danzano intrecciando i loro corpi, i piedi delle tre divinità si muovono con misura, mentre le mani si scambiano i doni: le arti dialogano e concertano, l’una produce, l’altra riceve il dono, un’altra lo restituisce. La muta sonorità dei gesti che simulano la danza è ora il simbolo dell’altro potere della musica antica restaurata dall’immaginario rinascimentale: non solo il potere di accordare gli animi, di incivilire e di educare l’uomo, ma anche il potere di accordare le arti e i saperi che animano i depressi mortali.

E, di nuovo, le immagini saranno, secondo l’aspirazione dell’epoca, imagines spirantes, spiranti vita, quando in esse si incarnerà la voce e il canto, che della vita, assicura Ficino, è l’imitatore più potente. Il che non è inverosimile, perché l’immaginario, come la galleria di Filostrato, combina la realtà storica con le forme dell’immaginazione, un tempo del retore e del suo pubblico, oggi dello storico dell’iconografia impegnato a dimostrare col discorso l’assunto di Leonardo secondo cui la musica è figurazione delle cose incorporee. È precisamente questo slancio creativo insopprimibile di rappresentare l’incorporeo che acuisce il desiderio dell’artista o del letterato di rappresentare i suoni per offrirli rigenerati all’ascolto del suo pubblico; e questo è ancora splendidamente testimoniato, quando il Rinascimento è ormai appena un ricordo, da uno dei grandi capolavori della letteratura musicale europea, quel Nipote di Rameau in cui la penna di Diderot si produce nell’esecuzione delle musiche del nipote e nella riproduzione di quel grido animale che alle soglie del Romanticismo mette fine all’armonia del mondo e inaugura la Modernità orfana dell’Antico: qui addirittura l’immaginario musicale dello scrittore divina, come l’oracolo della Pizia, i tormentati percorsi della musica dell’avvenire.

II.

Vorrei ora soffermarmi sulla questione che viene sollecitata dalla cornice istituzionale sia del volume presentato da Abbri sia del volume della Guidobaldi, vale a dire il Progetto di Ricerca di Rilevanza Nazionale Nuove prospettive storiche dell’Estetica musicale: la questione come le immagini della musica, le fonti dell’iconografia musicale, entrano nel discorso sulle nuove prospettive storiche dell’estetica musicale.

La domanda, almeno per me, ha quasi il significato di un bilancio dell’esperienza di ricerca condivisa coi colleghi, non tutti presenti qui oggi, del progetto ideato e diretto alcuni anni or sono da Antonio Serravezza, poi portato a termine da chi vi parla.

In che senso dunque dobbiamo pensare i rapporti tra l’immaginario sonoro e l’estetica della musica, sotto il cui ampio ombrello confluiscono i prodotti dell’iconografia musicale? La circostanza non riguarda tra l’altro solo l’iconografia ma anche altre ricerche che nel Progetto rientrano nell’ecumenica espressione di nuove prospettive storiche dell’estetica musicale.

Innanzitutto mi preme sottolineare il fatto, del tutto insolito, che il progetto abbia potuto concertare il lavoro degli storici della musica, da un lato, per di più storici non allineati al canone occidentale che ha sorretto i destini dell’estetica musicale, e dei filosofi della musica, dall’altro: la regola è infatti quella della totale, reciproca indifferenza, in massima parte dovuta alle difficoltà dell’estetica e della filosofia della musica di parlare al musicologo (di quale musica si parla?), in minima parte dovuto alla difficoltà del musicologo di pensare la musica nella prospettiva estetico-filosofica (Plotino non ha niente da dire sulla musica pratica?); ma esistono ovviamente delle eccezioni dall’una e dall’altra parte.

Dunque, evento notevole, la collaborazione c’è stata, e ha potuto attuarsi perché l’estetica musicale, quella almeno rappresentata nel Progetto Nazionale, si è data una mossa e ha accettato la sfida del nuovo, delle nuove fonti e delle nuove metodologie, perché positivamente influenzata dai metodi e dalla mentalità delle ricerche alcune delle quali sono poi entrate nel progetto nazionale complessivo: mi riferisco alle Musiche dei Greci, alle aperture della ricerca storica sulla musica medievale, alle musiche dei popoli senza note, all’iconografia musicale. L’estetica musicale ha fatto tesoro di queste linee di ricerca, cercando di adattarne il discorso alla propria storia e al proprio lessico; in particolare, ne ha tratto il senso complessivo della necessità anche per l’estetica della messa in prospettiva antropologica della musica e della storicizzazione dell’antropologia che gli studi sulle musiche dei Greci, sulla musica medievale, sulle culture di tradizione orale e di etnomusicologia dei popoli del Mediterraneo, infine di iconografia musicale hanno sottoposto all’attenzione dei musicologi per rinnovare metodi e contenuti della disciplina. Sono convinto che l’estetica della musica, pur con difficoltà di elaborazione e di applicazione dovute alla diversa storia della disciplina, abbia tratto stimolanti motivi di riflessione dai settori indicati e dal lavoro dei colleghi, trovando in questo laboratorio innovativo l’impulso per dare una direzione ai dubbi e alle inquietudini dei settori più avvertiti dell’estetica e della filosofia della musica in Italia.

Peraltro, se l’estetica ha tratto vantaggio dai metodi elaborati dalle nuove storie della musica, mi sembra legittimo cercare di illustrare oggi qui il movimento speculare, di andata e ritorno, diciamo ai fini d’uno scambio di doni, come forse si richiede a chi ha liberamente accettato la signoria di Apollo e delle Grazie. C’è un argomento o un tema particolarmente consono all’estetica musicale su cui tuttavia l’estetica musicale non vanta alcun diritto di proprietà, e che per la sua valenza antropologica generale supera agevolmente i confini dell’estetica per essere indicato all’attenzione delle discipline sorelle. La nozione di esperienza estetica potrebbe in effetti essere il corrispettivo fortemente antropologico, dal lato dell’aisthesis, del concetto più oggettivo, ontologico, di evento sonoro. L’esperienza estetica non è una nozione metodologica astratta, non si tratta di un universale preordinato e sovrapposto alle vicende umane che il semiologo o l’estetologo della musica manipola come un deus ex machina facendolo entrare e uscire a suo piacimento dalla realtà storica. L’esperienzaestetica è un dato costitutivo dell’essere umano, una modalità fondamentale dell’uomo di rappresentare il mondo, ma è leggibile sull’unico fondamento del sapere accessibile all’uomo, il sapere storico. L’esperienza estetica c’è da sempre, e precisamente per questo ha tante storie da raccontare.

Non è certo questo il contesto per proporre una giustificazione teorica di questa nozione: ci saranno altre occasioni adeguate per affrontare in termini corretti questo discorso. Semplificando, l’esperienza estetica è altra cosa sia rispetto alla visione tecnologica del mondo, fondata sul dominio e sull’utilizzo delle cose, sia rispetto alla visione scientifica del mondo, fondata sulla conoscenza delle leggi dei fenomeni. Al contrario, l’esperienza estetica è l’attitudine contemplativa dell’uomo (chi studia storia delle arti o della musica non avrà difficoltà a riconoscerlo), è lo sguardo o l’ascolto che indugia compiaciuto sulle forme dell’essere, le contempla e ne trae diletto: l’esperienza estetica è, fondamentalmente, l’esperienza del contenimento e dell’essere contenuti, è «sopra tutto, dice Castiglione (p. 109), il sentirsi essere amato».

Se l’esperienza estetica è il terreno antropologico comune all’esperienza umana del piacere, dell’affetto, della bellezza che ci donano gli eventi sonori, allora la storicità delle sue forme si troverà al centro deiprocessi culturali di rifondazione e riconfigurazione dell’aisthesis nelle diverse epoche. Come nell’immaginario rinascimentale, questi processi interessano i codici espressivi più diversi, dalla letteratura alle arti visive, dal teatro alla musica e alla danza. Il che richiede la parallela riconversione e riconfigurazione della mentalità e del discorso dello storico (richiede quindi un pensiero), esemplificato dalle espressioni di «iconografia letteraria» e «visualità della scrittura», di «pensiero sensoriale», di «visione uditiva» e di «sonorità incorporee», e così via, espressioni che registrano sul piano del sapere la koiné dei fattori in gioco nelle esperienze estetiche dell’uomo nella storia.

E, per concludere, è bene sottolineare che l’esperienza estetica non è l’estetica musicale, la precede anzi come istituzione antropologica. L’estetica musicale è appena una sua rappresentazione tra molte altre, come sono rappresentazioni di esperienze estetiche i miti e le favole musicali degli Antichi, i racconti di esperienze sonore nelle letterature dei popoli, i discorsi teorici, o i multiformi prodotti dell’immaginario musicale. Questo significa che l’estetica musicale classica, ottocentesca, ossia la formazione teorica che ha costruito le categorie su cui si fonda il canone musicale occidentale e i suoi concetti fondamentali (Grundbegriffen: enunciato nel tedesco subito intendiamo che si tratta di concetti fondamentali), è solo una parte esigua e cronologicamente minoritaria delle molteplici rappresentazioni dell’esperienza estetica della musica che l’uomo ha elaborato nella storia. Mi sembra che su questo terreno storico-antropologico i discorsi convergono e rendono forse più coesa l’idea complessiva.

Si comprende allora da un lato perché l’involucro estetico possa ricoprire nel progetto, senza prevaricarle o imporre significati estranei, esperienze e rappresentazioni storiche della musica formulate nei codici espressivi più diversi. Ma soprattutto si capisce, aldilà dell’osservanza fin troppo realista ai requisiti di un progetto ministeriale, perché e su quale terreno sia possibile un proficuo scambio tra settori della musicologia che forse debbono ancora progredire nell’arte della conversazione.

Paolo Gozza