Non guardare nei miei Lieder!

Copertina pubblicata da Non guardare nei miei Lieder!

Blicke mir nicht in die Lieder! è il primo dei Rückert-Lieder di Mahler, cui fa riferimento il titolo del volume, Non guardare nei miei Lieder!, in cui l’immagine delle api al lavoro, gelose custodi del frutto della loro instancabile laboriosità, rappresenta in maniera lieve e autoironica il compositore alle prese con l’elaborazione delle proprie idee musicali. Mahler mette in guardia chi volesse scrutare troppo nel processo creativo dell’artista, che va protetto dagli sguardi indiscreti e traditori del mondo. È noto quanto il compositore boemo irridesse lo studio degli schizzi beethoveniano avviato da Gustav Nottebohm negli anni Settanta del XIX secolo. In generale egli non credeva nell’utilità di procedimenti che ambissero a cogliere, verbalmente, il significato sedimentato nelle partiture al di fuori dell’ambito prettamente esecutivo della performance, che egli, compositore e virtuoso del podio, ebbe sempre presente in ogni fase del processo creativo. Quest’ultimo, come si sa, è ben lungi dal terminare con la stampa della partitura, ma continua nei ritocchi apportati alle Dirigierpartituren e pare perpetuarsi all’infinito.

Il volume si sofferma sul rapporto tra l’ottica del Mahler compositore e quella del Mahler direttore d’orchestra, evidente nel suo laborioso processo compositivo, e s’inserisce in un filone particolarmente produttivo degli studi mahleriani, nel punto di intersezione fra processo compositivo ed esecuzione, non divaricando questi due àmbiti, ma cogliendone l’intima convergenza. Per questo motivo il titolo del libro, che si articola in cinque capitoli, si rifà, ironicamente, al titolo-motto rückertiano, mettendo a frutto una lunga ricerca sugli autografi e sulle varie edizioni delle sinfonie mahleriane. Nel modus operandi di Mahler ogni singolo dettaglio aggiunto diventava fondamentale per il risultato complessivo. Coerentemente con questo approccio, nella sua scrittura compositiva anche i cosiddetti parametri secondari, dalla dinamica al trattamento dei timbri orchestrali, e tutti quei fattori legati alla performance, assumono un ruolo ‘strutturante’. Ne sono un esempio le revisioni infinite all’orchestrazione cui egli sottopose la partitura della sua Quinta sinfonia, in cui vi è una sorta di continua regia sonora per mettere a punto uno spazio sonoro fondato sul principio della polifonia orchestrale rücksichtslos, libera e senza riguardo.

Rifacendosi alla critica genetica e alla prassi della critica delle varianti, il volume affronta lo spinoso problema dei ‘ritocchi’ (Retuschen) al testo delle partiture successive alla prima stampa delle medesime. La disamina viene così estesa dalla genesi stessa del testo nelle sue varie fasi (dagli schizzi alla Reinschrift, tappa provvisoria di un lungo processo) alla ricerca, per Mahler virtualmente infinita, di una versione definitiva delle partiture. Esemplare è la storia della Quinta Sinfonia, sottoposta da Mahler ad un lavoro chirurgico di revisione che viene ricostruito nel volume, sulla scorta del pur lacunoso stemma codicum presentato nella edizione critica dell’opera pubblicata nel 2002. L’indagine condotta nel volume mostra come il confronto dell’autore con la realizzazione ‘materiale’ del proprio progetto compositivo sul podio non miri tanto a fondare una tradizione autoriale autentificata dall’imprimatur del compositore, quanto ad una vera e propria verifica della corrispondenza fra il proprio progetto compositivo e la sua traduzione sonora.

Lo studio dimostra inoltre la necessità di integrare l’approccio filologico genetico con una ricognizione storico-estetica sulla sonorità orchestrale di Mahler nel suo rapporto con la tradizione postwagneriana all’epoca della Moderne austro-tedesca. Quanto nuovo fosse in realtà tale assetto sonoro viene illustrato nel capitolo sulla “scrittura performativa e regia sonora nelle partiture mahleriane”, dove è la concezione ‘multi-prospettica’ dello spazio musicale a costituire l’oggetto dell’indagine

Sulla scorta degli studi di Jost e Maehder (e già molto prima da Egon Wellesz), l’indagine mostra come il suono abbia per Mahler una funzione strutturante. Dall’analisi dei ritocchi alla strumentazione della Quarta e soprattutto della Quinta sinfonia, viene ricostruita la direzione in cui si muove il lavoro di revisione di Mahler: l’enucleazione delle singole linee melodiche della sua rücksichtslose Polyphonie, l’anelito alla chiarezza portano ad una Auflockerung (allentamento), ad una scrittura orchestrale priva di rigidità e ad un sensibile alleggerimento del tessuto orchestrale.

Se i primi tre capitoli del libro mettono a fuoco il rapporto fra composizione ed esecuzione nell’opus stesso del compositore, i due capitoli finali si concentrano sulla prassi esecutiva e sui presupposti estetici del Mahler direttore d’orchestra, indagando sulle tanto discusse Retuschen alla Nona Sinfonia di Beethoven e sulla realizzazione dei recitativi nelle opere di Mozart. La complessa dialettica tra immaginazione sonora e scrittura musicale guida anche l’interprete Mahler, che non esita a intervenire con arditezza nei Retuschen all’orchestrazione della Nona Sinfonia di Beethoven, mostrando maggiore libertà persino del suo stesso mentore Hans von Bülow nell’applicare il principio formale wagneriano della chiarezza del melos.

Anna Ficarella