Maria Semi, Music as a Science of Mankind in Eighteenth-Century England, Farnham, Ashgate, 2012.
In che modo la musica ha contribuito al progetto di costruzione dell’uomo nella cultura inglese del XVIII secolo?
La domanda che ha orientato lo studio di Maria Semi sulla cultura musicale inglese del Settecento è quasi disarmante nella sua semplicità. Ma le buone domande, se si ha ingegno e fortuna, fioriscono solo dopo una lunga traversata nelle complesse articolazioni dell’oggetto di studio, e solo alla fine diventano l’incipit che riassume la peripezia in una formula sintetica, condensandola in un quesito essenziale. Forse Maria Semi ha dovuto condurre la propria mente attraverso storie diverse e complicate, e allenarla al confronto con aspetti tra loro distanti della cultura britannica settecentesca, prima di intravedere finalmente sullo sfondo d’una ricerca pluriennale l’immagine dell’uomo.
L’immagine dell’uomo che le pagine del libro ricreano con rara competenza e finezza non poteva mancare in uno studio della filosofia e della letteratura inglese del XVIII secolo: una cultura a tal punto interessata all’uomo da porlo al centro del proprio progetto intellettuale. Né d’altra parte il Lettore sarà sorpreso di incontrare nelle pagine del volume l’uomo in chiave musicale, rappresentato attraverso gli scritti e le discussioni inglesi sull’arte che più d’ogni altra nel Settecento europeo ha forgiato l’interiorità inquieta e bisognosa di cure dell’uomo della società moderna. Ciò che desta piuttosto meraviglia, ed è precisamente questo l’aspetto più originale e innovativo dello studio di Maria Semi, è che l’uomo moderno emerga proprio là dove se ne avverte maggiormente l’assenza, all’interno cioè dell’estetica musicale, oggi perlopiù occupata a ripetere stancamente concetti sempre più scissi dai contesti storici, e quindi dall’uomo. Non è un caso se quella che potremmo definire estetica musicale inglese, in omaggio alle nostre convenzioni disciplinari, non sia mai esistita nella letteratura musicologica (si vedano le pagine 14 e sgg. dell’ampia Introduzione) prima di questo studio, che così si annuncia fin dall’inizio come uno studio storico-musicologico sull’uomo al servizio dell’uomo.
Per venire alla luce e istruire una storia musicale dell’uomo ancora inedita, la domanda di Music as a Science of Mankind in Eighteenth-Century England ha dunque dovuto aprirsi il varco attraverso alcuni pregiudizi musicologici ed estetici piuttosto duri a morire. Il primo di questi ostacoli è interno al campo di studi che il libro e le sue fonti individuano, ossia l’estetica musicale o, più generalmente, la filosofia della musica. Mi riferisco a un dato evidente, già accennato sopra: la mancanza di studi organici di estetica musicale, italiani o stranieri, sulla cultura inglese del XVIII secolo. L’amnesia della storiografia si fonda su un tenace pregiudizio musicologico: che le origini e i fondamenti teorici del pensiero estetico-musicale europeo si declinino esclusivamente in tedesco, che le radici del pensiero musicale siano fondamentalmente la filosofia e l’estetica dell’Idealismo e del Romanticismo germanici. E probabilmente, per accreditare con maggiore incisività il proprio studio, Maria Semi avrebbe forse dovuto insistere più di quanto non abbia fatto sulle premesse teoriche e culturali della rimozione della cultura musicale inglese del Settecento dalla coscienza storiografica d’una musicologia, che trova naturale riconoscere il proprio debito nei confronti della cultura musicale di area tedesca, e le riesce invece difficile e quasi impossibile ripensarsi alla luce del contributo di altre ‘estetiche musicali’ settecentesche europee, tra cui quella inglese.
L’altro ostacolo epistemologico che la storia musicale dell’uomo moderno di Maria Semi ha dovuto affrontare è speculare al primo, e deriva dall’incapacità della filosofia e dell’estetica generale di riconoscersi nel proprio passato musicale. Riconoscersi nel proprio passato musicale significa per la filosofia e per l’estetica generale ravvisare l’apporto della musica all’elaborazione delle idee estetiche e filosofiche di tutti i tempi. Ne ha fatto di nuovo le spese, insieme a numerose altre, la cultura inglese del Settecento. Dopo la lettura di molte delle pagine del libro di Maria Semi fa una certa impressione il silenzio della musica negli studi storico-filosofici dedicati ai pensatori e agli scrittori inglesi del Settecento. Eppure la filosofia naturale della mente, come è stato anche definito il progetto dell’empirismo inglese, riflette chiaramente attraverso gli scritti dei suoi fondatori sei-settecenteschi la portata culturale e epistemologica strategica delle problematiche tipicamente musicali della percezione, del piacere, del tempo, del giudizio estetico, della memoria, e via di questo passo, nell’elaborazione delle teorie estetiche e filosofiche.
L’originalità dello studio di Maria Semi sta esattemente nella rimozione di questi ostacoli epistemologici con una scelta metodologica coraggiosa ma culturalmente ben fondata. In breve, Music as a Science of Mankind in Eighteenth-Century England ha fatto convergere sulla cultura del Settecento inglese quanto è già inscritto nel passato della cultura europea: la koinè di filosofia e musicologia, dell’estetica generale e dell’estetica musicale: per la prima volta nella storiografia del Settecento inglese gli scritti filosofici (ma anche letterari) sono studiati come fonti musicali, e gli scritti e le teorie musicali sono studiate come fonti filosofiche.
Su questa scelta storica e metodologica è fondato l’impianto complessivo del volume, la sua struttura bipartita. La Parte prima è infatti incentrata sugli scritti filosofici e estetico-letterari di lingua inglese dedicati alla musica nell’arco di un secolo, tra il ‘dialogo’ musicale di Lord Shaftesbury e la ‘mente musicale’ di Adam Smith. Nei due capitoli di questa prima sezione le fonti filosofiche e letterarie inglesi diventano nelle pagine di Maria Semi fonti musicali di prim’ordine: rifacendosi alla lezione degli Antichi, gli scrittori inglesi, da Lord Kames a Thomas Twining, fino a James Beattie e Thomas Reid, ragionano sulla musica come via d’accesso privilegiata alla conoscenza dell’uomo. La Parte seconda del volume è speculare alla prima, le fonti storiche esaminate sono fonti musicali: un trattato di musica (A. Malcom), uno scritto sull’arte musicale (F. Lampe) e uno sul concetto di espressione musicale (Ch. Avison), per concludersi con pagine dedicate al nuovo genere storiografico musicale settecentesco, la storia della musica (uno stimolante quanto inedito vis-à-vis Burney-Hawkins). In questa seconda sezione le fonti musicali diventano nell’analisi di Maria Semi fonti filosofiche: nel discutere i concetti musicali gli scrittori inglesi di musica riflettono originalmente, applicandoli all’arte dei suoni, concetti e problematiche filosofiche collegate, convergenti nella musica come scienza dell’uomo. La musicologia diventa filosofia, e la filosofia diventa musicologia.
Non è questa la sede per discutere nei dettagli i contenuti del libro, le teorie e gli autori, il teatro vivente delle idee filosofiche e musicali avviluppate attorno all’uomo musicale inglese del Settecento. In questa presentazione, pensata per il sito d’un gruppo di studio che persegue il dialogo tra musicologia e filosofia – o che, più propriamente, pensa storicamente la musicologia come filosofia – è invece importante sottolineare il contributo metodologico e storico che il libro di Maria Semi offre alle finalità del progetto comune. Vorrei pertanto concludere il mio discorso con l’assunto iniziale che ha guidato questa sintetica presentazione: la musica come scienza dell’uomo. L’idea non è nuova nella cultura del Settecento, se uno dei musicologi più illustri del secolo poteva scrivere nella sua Storia della musica, intervendo nel problema delle origini della musica dibattuto nella cultura musicale europea da Pitagora a Rousseau, fino all’oggi: ォ…non potersi meglio rintracciar l’origine della Musica, che nell’uomo istesso.サ Sono parole di uno dei primi storici europei della musica, che è salito fino a Dio per trovare nella musica le tracce della storia dell’uomo occidentale. Valeva dunque la pena attraversare la Manica, come ha fatto Maria Semi, alla scoperta della cultura musicale anglosassone del Settecento, che invita l’estetica musicale a ripensarsi alla luce di altre culture musicali, e la musicologia attuale allo studio della musica come scienza dell’uomo.
Paolo Gozza