Michael Spitzer, Metaphor and Musical Though, Chicago, University of Chicago Press, 2004, 380 pp.
1. Metafora e pensiero – «Pensare, parlare o scrivere di musica» – esordisce Michael Spitzer – «vuol dire rapportarsi ad essa nei termini di qualcos’altro, metaforicamente appunto» (p. 1). Chiamare tuttavia “metaforici” i discorsi intorno alla musica suggerisce che ci possano essere altri modi “letterali” di definirla, cosa che attribuiamo in genere ai discorsi analitici. In realtà non solo non c’è termine della grammatica musicale che non nasconda alla radice una sia pur sbiadita valenza metaforica, ma si riscontra soprattutto un enorme tasso di metaforicità quando dal piano della terminologia musicale di base si sale sulle vette di sistemi analitici sofisticati. La teoria musicale è infatti frutto di un «atto immaginativo che, per molti versi, può considerarsi creativo tanto quanto un’opera compositiva» (p. 2).
È dagli anni Ottanta – ci ricorda Spitzer – che la metafora è tornata ad occupare una posizione centrale nelle scienze umane, come «capitale cognitivo» (p. 3). In conseguenza della svolta cognitivista – inaugurata da George Lakoff e Mark Johnson, e proseguita tra gli altri da Andrew Ortony, Eve Sweetser – le metafore sono state considerate un «agente di pensiero» (ibid.), un vettore della concettualizzazione. La nuova definizione della metaforizzazione («metaphorical mapping», ibid.) come attività di proiezione da un dominio dell’esperienza umana (in genere più concreto) a un altro (in genere più astratto) ha allargato i confini della metafora, al punto da ricomprendere sotto di essa fenomeni linguistici che nella tradizione retorica hanno nomi diversi: analogia, metonimia, immagine, allegoria, simbolo ecc. Se la teoria retorica tradizionale definiva la metafora un tropo di sostituzione del discorso poetico, nel quale il termine letterale viene sostituito in via eccezionale da un termine estraneo, le teorie cognitiviste capovolgono questa concezione, tanto da considerare la metafora non l’eccezione, ma la norma: più precisamente, «una espressione tipica del carattere intrinsecamente creativo e immaginativo del linguaggio» (p. 4). La prospettiva si sposta da una definizione lessicale a una concettuale, dal lemma individuale al campo sistematico, da statiche regole grammaticali alla produzione immaginativa di significato.
La teoria della metafora concettuale di Lakoff e Johnson, che pure non è esente da limiti, ha secondo Spitzer almeno due importanti meriti. In primo luogo, essa presuppone un approccio pragmatico al linguaggio, con la conseguenza che viene meno la distinzione tra lingua poetica e lingua quotidiana come differenza di genere, e ciò che rimane è una mera differenza di grado nel ricorso alle metafore. In secondo luogo, la teoria della metafora concettuale consente di superare i confini del mero fenomeno linguistico: se la metafora è un processo basilare del pensiero, essa emerge in tutti gli ambiti dell’esperienza umana, non solo in quelli contraddistinti dal linguaggio. A partire da questa premessa sono sorti negli anni Novanta numerosi tentativi di applicare la teoria lakovsiana della metafora a vari aspetti del pensiero musicale occidentale, tra questi l’analisi dell’incidenza di costrutti metaforici nella teoria schenkeriana o nella teoria della modulazione riemanniana.
Il libro di Spitzer si presenta ora dunque come uno dei più importanti prodotti della riflessione sulla metafora in campo musicologico.
2. Concettualizzazione musicale – Un comune modo di ascoltare la musica – osserva Spitzer – consiste nel mettere in relazione i suoni tra loro in analogia con gli oggetti nello spazio. Potrebbe dirsi un livello elementare della percezione musicale: alle note viene attribuita un’estensione fisica nello spazio bidimensionale, in orizzontale e in verticale. Tuttavia, anche a questo livello elementare, l’ascolto musicale non è mai un atto di percezione immediata, ma è piuttosto una «percezione messa in forma dalla conoscenza» (p. 9).
Il discrimine fra percezione immediata e percezione “informata” emerge in tutta chiarezza nella distinzione wittgensteiniana tra sehen (‘vedere’) e ansehen (‘vedere come’). Il nostro vedere è sempre un vedere come, un riconoscere nei dati della percezione un qualcosa di cui abbiamo già nozione. Da ciò deriva un’idea della percezione come atto creativo: l’individuo costruisce le proprie percezioni, interviene sui dati percettivi con un sistema di deduzioni o inferenze più o meno conscie, sulla base di conoscenze anteriori e di una riserva di strutture preconcettuali.
Ora, all’ascolto di un brano di musica possiamo immaginare che esso si configuri come un dipinto, oppure come una successione di frasi verbali, o ancora come un organismo vivente. In questo sentire la musica come qualcos’altro, è insita secondo Spitzer una comparazione metaforica (ibid.). I concetti di dipinto, linguaggio, organismo mettono in forma la musica, sicché il nostro rapportarci ad essa (dall’ascolto alla sua concettualizzazione più raffinata e apparentemente più astratta) si riduce a un atto intrinsecamente metaforico. Il senso della musica non è, in altre parole, un «qualcosa di inerente le note in sé, ma ha a che fare con un concetto che viene loro applicato» (p. 10). Diverse metafore implicano differenti strategie di ascolto e differenti modi di concettualizzare la musica secondo le più svariate sfere dell’attività umana. La scelta del dominio emittente influenza quindi la comprensione musicale. Immaginare la musica come un dipinto significa ad esempio concentrarsi sul suo materiale timbrico più che sulla sua logica. Intenderla come una successione di proposizioni verbali ne sottolinea l’aspetto sintattico e semantico, immaginarla come una forma di vita significa concentrarsi sulla sua evoluzione nel tempo.
Nella sua storia, la musica è stata ascoltata (e comparata) in tutti i modi possibili: le metafore individuali sono infinite. Il numero di metafore culturali sistematiche nel periodo della musica tonale sembra essere invece limitato (p. 66). Sebbene la musica possa essere immaginata come qualsiasi cosa, le metafore concettuali sistematiche sono riconducibili in definitiva solo a tre macrometaforiche: musica come pittura, musica come linguaggio e musica come vita organica. La tesi di Spitzer è che ci sia una correlazione stretta, «in coppie stabili» (p. 12), tra armonia, ritmo e melodia, da un lato, e rispettivamente le tre metafore della musica come pittura, linguaggio e vita, dall’altro. Questa correlazione si baserebbe inoltre su un «iconismo» (p. 14), ossia su una correlazione motivata da un isomorfismo. Il prevalere di ciascuno di questi tre paradigmi metaforici rifletterebbe infine, secondo Spitzer, il predominio dell’aspetto armonico, ritmico e melodico, rispettivamente in epoca barocca, classica e romantica.
3. Paradigmi per una metaforologia musicale – Intento di Spitzer è quello di fondare una «teoria bidirezionale della metafora musicale» (p. 54). La musica può essere infatti sia destinatario che emittente della metafora: nel primo caso, concetti extramusicali danno forma alla musica, nel secondo invece è l’esperienza musicale che informa di sé altri ambiti del pensiero.
Secondo Spitzer, esistono tre tipi di strutture preconcettuali a partire dalle quali strutturiamo metaforicamente la musica: (a) categorie prototipiche del livello base, (b) schemi corporei, (c) metafore concettuali. Nel primo caso la musica fa da emittente della metafora, negli altri due è invece destinatario della stessa.
(a) In musica, concetti come contrappunto, ritmo, melodia ecc. possono fungere da categorie del livello base, ed essere usati per strutturare metaforicamente la forma musicale. È quello che avviene in sistemi di teoria musicale sofisticati come l’analisi schenkeriana o l’analisi ritmica di Meyer. Partendo dal livello base del contrappunto, della melodia o del ritmo si concettualizza metaforicamente la forma musicale su larga scala. I sistemi analitici suggeriscono dei modi di ascolto, impiegando metaforicamente concetti come contrappunto, metro ecc. e proiettando in questo modo categorie del livello base nel dominio immaginario dell’astrazione teorica: dall’estensione metaforica di concetti musicali basilari nasce quindi la struttura contrappuntistica dell’Ursatz, il concetto di ipermetro o di ritmo in grande ecc.. Queste metafore non provengono da ambiti esterni alla musica, ma sono endogene, per così dire: inoltre, possono esser dette metonimiche, perché scaturiscono da una particolare manifestazione o da un particolare aspetto della musica stessa.
(b) Gli schemi d’orientamento come centro/periferia, parte/tutto, sopra/sotto, dentro/fuori, sentiero ecc. sono strutture preconcettuali che derivano dall’esperienza del nostro corpo e dalla sua relazione con lo spazio circostante. Con questi schemi d’orientamento noi strutturiamo i concetti, che sono a loro volta proiettati su domini dell’attività umana come il linguaggio o la musica. I più importanti per la musica sono: centro/periferia (p. 57), che presiede alla concettualizzazione dell’armonia, parte/tutto (p. 58) per la comprensione del ritmo, sentiero per la concettualizzazione della melodia (p. 58).
(c) Le metafore concettuali consistono nell’organizzazione sistematica di un dominio concettuale nei termini di un altro. Metafore di questo tipo istituiscono un nesso fra un dominio emittente e un dominio destinatario, mediante la selezione di alcuni tratti in comune e lo scarto di quelli non pertinenti. Secondo Spitzer, le metafore concettuali (c) sono isomorfiche con le metafore intramusicali (a) e con gli schemi d’orientamento (b), poiché un medesimo schema organizza sia la metafora concettuale, sia la categoria prototipica: lo schema centro/periferia per la metafora dell’armonia come immagine (dominante in età barocca), lo schema parte/tutto per la metafora del ritmo come linguaggio (propria del classicismo), lo schema sentiero per la metafora della melodia come vita organica (predominante in epoca romantica).
Francesco Finocchiaro