La musica come emittente e destinatario della metafora. Una riflessione sui ‘Papillons’ di Schumann

Sulla scorta di un brano musicale specifico – il finale dei Papillons op. 2 di Robert Schumann – viene proposta una riflessione sul rapporto tra musica e metafora considerato nei suoi due lati: la musica come emittente e insieme come destinatario della metafora. Il nesso musica/linguaggio nella composizione di Schumann è reso più variopinto e complesso dall’esistenza di una precisa fonte letteraria dei Papillons e dal problematico rapporto che l’opera intrattiene con essa: si tratta del romanzo Flegeljahre di Jean Paul, in particolare degli ultimi due capitoli (63 e 64), che descrivono il ballo mascherato, il conflitto tra Vult e Walt divisi dall’amore per Wina, e infine la partenza del primo, che se ne va suonando il suo flauto, mentre Walt, rapito dalle note dello strumento che si perdono nel vicolo, quasi non si accorge che il fratello se n’è andato. Nel suo esemplare dei Flegeljahre Schumann annotò in margine ad alcuni passi del cap. 63  dei numeri romani corrispondenti ai vari brani dei Papillons, ma va tenuto presente che parte di questi ultimi era già stata composta in precedenza; l’aspetto più interessante della composizione sta peraltro nelle ultime battute, che possono a buon diritto essere interpretate come metafora, non tanto della conclusione del romanzo, quanto piuttosto del disappunto provato da Schumann lettore nel giungere al termine del romanzo, disappunto di cui ci ha lasciato notizia lo stesso compositore in una lettera a Ludwig Rellstab del 19 aprile 1832: «Ricorderà la scena finale dei Flegeljahre – il ballo in maschera – Walt – le maschere di Vult – Wina – Vult che balla – lo scambio delle maschere – le confessioni – la rabbia – la fuga – la scena finale e poi la partenza del fratello. Più volte mi sono ritrovato a voltare l’ultima pagina, poiché la fine mi sembrava solo un nuovo inizio». Ora, la chiusa dei Papillons è basata su una figurazione tipica della Formenlehre primottocentesca: si tratta infatti di un motivo di transizione, un Gang, che poi viene messo in progressione e cadenza infine su Re maggiore, dopo un accordo di settima, tenuto – fuori da ogni sudditanza alla battuta – per sette semibrevi scritte una di seguito all’altra, salvo l’ultima,  senza stanghette di divisione. Che morfologicamente il passaggio sia assimilabile a un Gang è confermato dal legame evidente del motivo base con una ulteriore fonte, stavolta strettamente musicale: Schumann l’ha ripreso dal ponte modulante che nel primo movimento della Sonata op. 28 di Beethoven conduce al secondo tema.  Nel suo presentarsi come transizione ad un nuovo tema che in realtà non verrà mai, la “chiusa inconcludente” dei Papillons appare una felicissima metafora del finale aperto dei Flegeljahre, e in pari tempo dà forma sonora al fantasticare di Schumann sul «nuovo inizio», smentito, proprio come la pagina bianca che segue l’ultima pagina stampata, dalla sbrigativa cadenza alla tonica dopo la auskomponierte Fermate nell’ultimo pentagramma.

Nella seconda parte del lavoro si tratterà di sviluppare una riflessione su un dato di per sé ovvio e banale: il fatto cioè che il concretizzarsi della musica nella sua articolazione puramente musicale come metafora di qualcos’altro ha bisogno del linguaggio discorsivo per manifestarsi. Anche se nel caso particolare del Gang abbiamo soltanto più un “relitto” di metafora (nell’indicare il costrutto specifico, in contrapposizione al Thema ovvero Hauptsatz, con allusione al suo “andare” – che vale ovviamente per tutta la musica –, come termine tecnico Gang è a rigore una sineddoche), la decodifica del messaggio schumanniano necessita, da parte dell’ascoltatore, della capacità di individuare nel costrutto che chiude i Papillons un elemento tipico della sonata classica, e di riflettere sulla sua “decontestualizzazione” qui operata allo scopo di contraddire l’idea stessa di coda come luogo formale che sancisca in modo chiaro e distinto la fine del discorso.

Maurizio Giani