La questione delle immagini sacre e l’estetica musicale

Il saggio si articola in tre parti. Nella prima si propone una sintetica rivisitazione della questione delle immagini sacre, quale si è posta nel mondo bizantino e in occidente. Nella seconda si presenta un fenomeno culturale del tutto diverso, il dibattito ottocentesco sulla capacità rappresentativa della musica. Per l’estetica formalistica la musica non ha la capacità di esprimere e di rappresentare alcun contenuto. Non può raffigurare nulla e non è in grado di offrire altro che se stessa. Il suo valore estetico risiede unicamente nella forma, nell’architettura sonora. Sul versante opposto, la cosiddetta Scuola Neotedesca ed i suoi ispiratori, si ritiene invece che la musica possa, anzi debba offrire all’ascoltatore un’immagine, si tratti di un contenuto interiore o della rappresentazione di qualcosa di esterno. Il punto focale dell’articolo è nella terza parte, ove l’autore cerca elementi di convergenza tra le precedenti sezioni, pur dedicate a materie lontanissime nel tempo e nella topografia culturale. La sacralizzazione ottocentesca dell’arte è indicata come un terreno sul quale la musica si approssima a comportamenti ed esperienze di tipo religioso. Tale fenomeno storico vede convergere, sia pure senza consapevolezza, la nuova assiologia estetica con antiche posizioni teologiche. L’immagine musicale genera così opinioni e modi di sentire in qualche modo assimilabili a quelli che a suo tempo le immagini sacre avevano originato, e nella religione della musica possono rivivere, senza memoria delle loro origini, atteggiamenti iconofili o iconofobi, entrambi con profonde radici nel nostro mondo valoriale. Le conclusioni del saggio suggeriscono che persino in un mondo laico e secolarizzato come quello del diciannovesimo secolo il confine tra ambito estetico e altre dimensioni della vita, come l’esperienza del sacro, è alquanto artificiale e non rispecchia la realtà dei fenomeni. Il che pone interrogativi di carattere metodologico. L’estetica musicale, quale viene rappresentata nella sua tradizione disciplinare, è in grado di incontrare i significati della musica in tutta la loro estensione storica? In qual misura ci offre una cornice teorica adatta ad inquadrare l’intera varietà della vita musicale?

 

This essay is divided in three parts. The first one is a concise exposition of the iconoclast controversy both in Byzantine and in Western history. The second part describes a very different cultural occurrence, the well-known aesthetical debate about the representational power of music in nineteenth century. According to the formalist party (Eduard Hanslick and its followers), music is unable to express and to picture anything but itself. Sounds don’t paint anything. Music’s aesthetic value should be searched only in formal sound’s architecture. According to the opposite party, the so-called New German School and its forerunners, music can, or even must, offer to the listener an image, whether as inner representation or as external painting. The core of the whole essay is the third part. Here the author tries to throw a bridge between the subjects of the previous sections, apparently so different from each other. He points at the nineteenth-century trend to sacralisation of art as a connecting ground where music approaches religious behaviour and experience. This historical occurrence links together, although unconsciously, the new aesthetic axiology and the old theological thought. Consequently the musical image engenders opinions and feelings similar to those of believers facing a sacred image. In music’s religion iconoclast or iconophile attitudes can revive, unmindful of their origin, both of them deeply rooted in our axiological world. The essay’s conclusion suggests that even in a secularized world like nineteenth century’s society, the borders between the aesthetic realm and other areas of our inner life, like the sense of the sacred, are artificially drawn and do not mirror the effective cultural phenomena. This brings about methodological questions. Is musical aesthetics, in its established form of scholarship, able to meet with the meanings of music, in all their historical fullness? To what extent does it offer a suitable theoretical frame to comprehend all the variety of musical life?